Auterno.

Trascrivo un racconto di Giovannino Guareschi: tratta della vita condominiale ovviamente nella sua solita maniera molto divertente. Sono cambiate le tecnologie ma, evidentemente, le dinamiche della vita in comune sono sempre le stesse. :)

E’ anche un modo per dire che siamo vicini al Natale, preferisco mettere da parte i problemi e proporvi una cosa rilassante pur rimanendo in tema con il blog.

Approfitto per farvi i più sentiti auguri di buone feste.

Parlò per primo l’amministratore condominiale della casa. Disse che non era più tollerabile quella porcheria di tubi da stufa che spuntavano dai muri e gocciolavano sui balconi e sui davanzali, quella porcheria di fumo che insudiciava ogni cosa e impediva alla gente di aprire le finestre e cambiare aria. – Votazione! – gridò il capo dei termosifonisti. – Ognuno scriva su un bigliettino , se vuole il termosifone, oppure no se non lo vuole.
I votanti erano venti e dodici preferivano il riscaldamento a mezzo termosifone. Allora l’amministratore se ne andò e disse che ci arrangiassimo.
Prima di tutto ci fu una seria discussione sul sistema cosidetto della maggioranza.
– Il fatto che otto pensino bianco e debbano accettare il nero perché dodici pensano nero è una cosa che non ha la minima logica! – gridò il capo degli stufisti.
– Ma sarebbe una cosa ancora meno logica se i dodici che pensano nero dovessero accettare il bianco che rappresenta il parere degli otto – ribatté il capo della fazione favorevole al termosifone.
Ma il capo degli stufisti era tenace.
– Se io, mettiamo il caso, ho una gamba sola e voi decidete che ogni uomo ha bisogno di un paio di scarpe, perché io debbo comprare un paio di scarpe di cui una sola mi serve?
Qui la discussione uscì di carreggiata perché qualcuno affermò che, invece di comprare un paio di scarpe al negozio, l’uomo senza una gamba poteva farsi fare una scarpa sola da un calzolaio. Lo stufista allora urlò:
– E perché, allora, mi costringete a comprare al negozio un paio di scarpe?
Poi la discussione ritornò in carreggiata e allora si affacciò il primo grave problema.
Se si dovevano accendere i termosifoni, bisognava anzitutto mettersi d’accordo per stabilire quanti giorni dovevano stare accesi. Stabilire cioè quando a Milano comincia il freddo propriamente detto e quando finisce.
Ed è proprio in queste occasioni che uno si accorge quanto siano spaventosamente soggettive le sensazioni di caldo e di freddo.
– Il freddo comincia ai primi di ottobre e finisce ai primi di maggio – disse uno.
– Il freddo vero va dal quindici dicembre al quindici febbraio – disse un altro.
– Io ho freddo fino ai primi di giugno – affermò un terzo.
– Io il freddo non lo sento e, se fosse per me, non accenderei mai il fuoco.
Ne nacque una discussione durissima; alla fine si decise di procedere scientificamente: ognuno stabilì quanti fossero, per lui, i giorni di freddo; si fece la somma di tutto il freddo personale ottenendo il freddo collettivo pari a 1.743 giorni. Dividendo poi il freddo collettivo per i venti utenti del freddo stesso, si ottiene una spettanza di freddo pari a giorni 87 e ore 3 per ogni inquilino. Non si tenne conto dei minuti.
– Adesso si tratta semplicemente di stabilire da quando si deve fare decorrere il freddo, – spiegò quello che aveva preso la direzione della faccenda.
– Sappiamo che il freddo comincia il giorno X e continua per 87 giorni. Troviamo questa X.
Per comodità di calcolo si decise di unificare i due mesi in questione, novembre e dicembre, facendone uno di 61 giorni.
– Lo si potrebbe chiamare Nocembre – propose qualcuno.
– Chiamiamolo Nocembre – accettò il presidente.
Si prese un gran foglio e a sinistra si scrissero, uno sotto l’altro, i sessantun giorni di Nocembre. A fianco si scrissero in perfetta corrispondenza i mesi di novembre e dicembre e ognuno potè così automaticamente sapere a qual giorno di Nocembre corrispondeva la data che egli aveva scelto per l’inizio del freddo e dell’annesso riscaldamento.
Si trattava di fissare la percentuale media di freddo contenuta nel Nocembre, cosa che a molti pareva complicata ma che in realtà risultò facilissima, perchè bastava togliere da 61 il numero corrispondente alla data fissata da ciascuno.
8 Nocembre? Freddo rimasto uguale a 61 -8. Cioè = 53.
45 Nocembre? Freddo rimasto uguale a 61 – 45. Cioè = 16.
Fatte le somme dei singoli personali freddi nocembrini si ottenne il freddo nocembrino collettivo che risultò di 680. Diviso per 20 diede 34.
Ciò stava a significare che il 34 Nocembre si dovevano accendere i termosifoni, che sarebbero quindi rimasti in funzione dal 4 dicembre al 1° marzo.
Così finì l’introduzione dal tragico romanzo del termosifone ed erano ormai le tre di notte e io quando ritornai in casa trovai Margherita ancora sveglia.
– Vi siete picchiati? – domandò Margherita.
– No.
– E’ già un bel risultato. Stufa o termo?
– Stermo – risposi. E Margherita mi guardò preoccupata.
– Stermo in che senso?
– Stufa elettrica fino al 34 Nocembre perché noi abbiamo freddo prima. Poi termo dal 34 Nocembre al 1° marzo. Quindi stufa elettrica dal 1° marzo alla fine del freddo personale che termina dopo il 1° marzo e comincia prima del 34 Nocembre.
Margherita i guardò ancora più preoccupata.
– Giovannino, cos’è questo 34 Nocembre?
– E’ l’undicesimo mese dell’anno, composto di novembre e dicembre unificati per poter stabilire la percentuale media di freddo e l’inizio del freddo democratico progressivo.
Margherita scosse il capo:
– Lo sapevo io che sarebbe finita in politica!

Poi ci furono le sedute per l’esame dei preventivi e per poter stabilire con quale ditta entrare in trattative per la fornitura degli 87 giorni di caldo.
Poi si stabilì un turno di sorveglianza-caldaia: verifica consumo carbone, verifica temperatura e via discorrendo.
Poi il 34 Nocembre, dopo altre drammatiche sedute per far eseguire le riparazioni risultate necessarie, incominciò il caldo.
Ora io non sto a descrivere tutto quello che accadde durante gli 87 giorni del riscaldamente. Dico semplicemente che un giorno la signora del sesto piano entrò in casa mia – io abitavo al secondo – e, appena dentro, si mise a urlare che mentre lei, lassù, gelava, noi crepavamo da caldo.
Ci fu, la sera, una riunione straordinaria con formazione di una commissione di verifica che visitò tutti gli appartamenti e prese nota di tutte le temperature-ambiente.
Risultò che, mentre il terzo e il quarto piano fruivano di una temperatura rispondente alla temperatura contrattuale, il quinto e il sesto piano l’avevano inferiore mentre il primo e il secondo l’avevano superiore.
– La colpa è della naturale dispersione di calore – obiettai io.
– Non andiamo a risalire alle cause – mi rispose il presidente che era del quinto piano. – Ci interessano gli effetti. Qui c’è chi beneficia di un caldo superiore alla sua spettanza e chi invece fruisce di un caldo inferiore al suo diritto. E’ logico pertanto che chi meno ha, meno paghi, e chi più ha più paghi.
– Naturalmente – dissi io. Ma il signore grosso del primo piano intervenne autoritario.
– Naturalmente un corno! – urlò. – Se chi più ha più deve pagare e chi meno ha meno deve pagare, allora i signori dei piani superiori perché pagano la stessa percentuale di ascensore che paghiamo noi dei piani inferiori? Senza ascensore noi del primo e secondo piano non avremmo nessun fastidio perché praticamente non lo usiamo mai. Mentre quelli del terzo, quarto, quinto e sesto, senza ascensore sopporterebbero un disagio notevolissimo. Esiste quindi una logica compensazione ed è giusto che chi gode più ascensore abbia meno caldo e chi gode meno ascensore abbia più caldo.
La discussione fu lunga, ma, alla fine, la tesi del primopianista prevalse. Ma quelli dei piani superiori dissero che un altr’anno o si mettevano in chiaro le cose prima o avrebbero rimesso in funzione i vecchi mezzi di riscaldamento.
– Voi suonate pure i vostri ascensori, noi suoneremo le nostre stufe! – esclamò il capo dei superiori.
Poi ci fu lo scandalo del signore con la faccia verde.
Era uno dei quintisti, di quelli cioè che si lamentavano perché i termosifoni erano freddi mentre i primisti e i secondisti schiattavano di caldo. Una mattina alle sette e mezzo scese in fretta e furia, come al solito perché lavorava in un ufficio lontano, ma sulla porta c’era un gruppo di secondisti e di primisti in agguato e così lo bloccarono.
Aveva la faccia verde.
Una commissione salì in casa sua e trovò che anche l’asciugamani era macchiato e macchie verdi erano un po’ dappertutto nel bagno.
L’uomo della caldaia aveva detto al capo dei primisti: “Qui c’è qualcuno che ha messo un rubinetto grosso al posto della valvolina per cavare l’aria dal termosifone e ruba l’acqua calda e così la gradazione va giù”.
“Non si può fare una verifica ai termosifoni?” aveva domandato il primista.
“Non vale la pena e poi l’acqua calda la si può cavare anche dalle valvoline piccole” aveva spiegato l’uomo della caldaia. “Noi abbiamo un sistema più sicuro, quello che usiamo in tutti i fabbricati grossi. Si mette dell’anilina nell’acqua della caldaia”.
“Mettete l’anilina anche qui. E state zitto”.
La sera l’ometto aveva messo l’anilina. E la mattina dopo, come al solito, il quintista aveva fregato l’acqua calda del termosifone e, così, mezzo assonnato e lavandosi quasi al buio perché era un tirchione e non voleva consumare la luce, non si era accorto dell’acqua tinta ed era disceso con la faccia verdolina. Ma io adesso non voglio rimettere fuori queste cianfrusaglie che appartengono al passato. Oggi io ho un impianto autonomo. Ho insomma una caldaia mia personale. Una caldaia straordinaria, perché ha la prerogativa di trasformare il carbone in fumo semplicemente, anziché in calore come accade nelle comuni caldaie.
E ogni tanto Margherita borbotta di malumore:
– Giovannino, fa un freddo cane!
– Ma è un freddo nostro, Margherita! – io le rispondo.
E Margherita allora dimentica il freddo e diventa sentimentale. E, guardando nel giardinetto spoglio, sospira:
– Già il 34 Nocembre… Già in auterno…